Una riflessione sul modello “Homo oeconomicus” del Ministero della Cultura
Un’ordinanza del Tribunale di Venezia ha stabilito che le sedi italiana e tedesca della nota azienda di giocattoli Ravensburger dovranno pagare le royalties per la riproduzione e distribuzione di un puzzle da mille pezzi raffigurate l’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci. I puzzle sono in commercio dal 2009, ma soltanto nel 2019 le Gallerie dell’Accademia di Venezia, dove il disegno è conservato, e il Ministero della Cultura (MiC) hanno presentato un ricorso congiunto davanti al Tribunale di Venezia. Con ordinanza del 17 novembre 2022, la seconda Sezione Civile del Tribunale Ordinario di Venezia ha deciso sul ricorso inibendo l’uso a fini commerciali da parte della Ravensburger AG., Ravensburger Verlag GmBH e Ravensburger S.r.l. dell’immagine dell’Uomo Vitruviano in qualsiasi forma, prodotto, strumento (anche informatico) su tutti i canali; condannato l’azienda a pagare una penale di 1.500 euro a favore del MiC e delle Gallerie di per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’Ordinanza; nonché ordinata la pubblicazione del provvedimento su noti quotidiani cartacei e online con un costo stimato pari a 185.440 euro. Nella determina della Galleria dell’Accademia sul sito del Ministero, a firma del direttore Giulio Manieri Elia, si legge che “il fine di interesse pubblico che si intende perseguire con il provvedimento è quello di contrastare l’uso indebito e lo sfruttamento economico da parte di società commerciali, sia all’estero che in Italia, di immagini di opere del Patrimonio nazionale, svolgendo in tal modo le funzioni e compiti assegnati alla Gallerie dell’Accademia di Venezia (sic!)”.
Bisogna chiedersi se il “pugno duro” sia sostenibile, se i benefici derivati da tale atteggiamento siano superiori ai danni che ne seguiranno.
Con questo provvedimento, fondato sugli Articoli 107-108 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, già in contrasto con recenti disposizioni europee, il MiC sembra voler segnare un cambio di rotta rispetto all’astensionismo degli anni precedenti. Il cambio di passo è stato anche ribadito nell’atto di indirizzo del Ministero in cui si parla di “proteggere il patrimonio rappresentato dalle immagini, anche digitali, del nostro patrimonio culturale, attraverso un’adeguata rimuneratività” e nelle Linee Guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali adottate lo scorso 11 aprile 2023. Ora bisogna chiedersi se il “pugno duro” sia sostenibile, se i benefici derivati da tale atteggiamento siano superiori ai danni che ne seguiranno. In primo luogo va ribadito che fino a poco tempo fa in tutta Italia non esisteva un criterio unico per il rilascio delle licenze di riproduzione, di conseguenza ogni istituto si regolava un po’ a modo suo. O meglio esisteva, in teoria, una licenza unica prevista dalle linee guida della Digital Library sull’uso delle immagini del patrimonio culturale, ma queste linee guida non avevano valore vincolante per tutti gli istituti MiC e il decreto ministeriale con loro traduzione in regolamento tardava ad arrivare. Con le Linee Guida di aprile 2023 sono state introdotte tariffe unitarie per “Riproduzioni libere con rimborso spese” (sostenute dall’amministrazione concedente!) e “Riproduzioni a scopo di lucro” con coefficiente differenziato in base all’uso/destinazione delle riproduzioni. Questo elenco assesta un duro colpo alla ricerca, elencando tra le destinazioni “a scopo di lucro” anche le riviste scientifiche (con coefficiente 1) in contrasto con il disposto del Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale (“PND”) che aveva previsto la gratuità per tali riproduzioni. Le tariffe diventano sempre più alte per “Serigrafie digitali destinate al mercato” (per livello eccezionale la tariffa oscilla tra 5.000-10.000€) e si cerca di regolare anche riproduzioni finalizzate alla creazione di NFT.
Il calmiere del MiC sembra ignorare quanto è già stato più volte dimostrato, ossia quanto l’argomentazione economica sia effettivamente una chimera. Nel 2021, il Sole 24 Ore ha reso noti gli scarsi introiti derivati dall’esternalizzazione del servizio di licenze per la riproduzione delle immagini dei maggiori musei italiani. Forse la pochezza delle entrate si deve anche alla mancanza di mezzi di riscossione efficienti, che non sono gratuiti, e c’è da chiedersi se il gioco valga la candela. Senza contare poi che l’effetto-Linee Guida potrà portare maggiore caos in un quadro già confuso. Per fare un esempio, chi scrive sta ancora attendendo risposta ad una richiesta inviata nel dicembre 2022 al Museo Archeologico Ferruccio Barreca per ottenere la riproduzione dell’immagine (una sola immagine!) dell’Arciere di Sant’Antioco presa in carico dalla Sovrintendenza locale e poi persasi nel Lete. Inoltre, la politica severa del MiC graverà ulteriormente sulle finanze pubbliche: si dovrà rivedere la spesa per il prossimo triennio mettendo a bilancio più funzionari e si dovrà aumentare anche il numero degli avvocati dell’Avvocatura di Stato impegnati a controllare usi scorretti e difendere l’identità culturale del nostro Paese.
Da Bruxelles l’indirizzo è quello di apertura all’Open Access e al libero riuso delle immagini.
In tutto ciò l’Italia sembra muoversi completamente scollegata dal contesto europeo e la chiamata della Commissione potrebbe essere dietro la porta. Il nostro Paese non può esimersi dal rispettare gli impegni presi in sede europea. Da Bruxelles l’indirizzo è quello di apertura all’Open Access e al libero riuso delle immagini come dimostra anche il testo dell’Articolo 14 della molto discussa Direttiva EU 2019/790, la cosiddetta “Direttiva Copyright”. L’articolo stabilisce che il materiale derivante da un semplice atto di riproduzione di un’opera delle arti visive in pubblico dominio non può essere soggetto al diritto d’autore o a diritti connessi a meno che quel materiale non sia originale, nel senso che contenga una creazione intellettuale propria dell’autore dell’opera.
Chissà se tutti pagano l’obolo.
Se si cerca online “puzzle Venere Botticelli” o “puzzle Primavera Botticelli” compaiono una miriade di risultati. Chissà se tutti i grandi e piccoli nomi spuntati sul motore di ricerca pagano l’obolo al MiC e se così fanno da anni o se, invece, saranno i prossimi nella lista di proscrizione del Ministero? La stessa cosa vale per stampe, magliette (non quelle di Gaultier, si capisce), riproduzioni 3D ecc. Quindi, la legge vale per tutti, oppure Ravensburger è la nostra gallina dalle uova d’oro, il capro espiatorio indispensabile per mandare un messaggio esemplare? Forse si potrebbe suggerire a Ravensburger di sostituire nel puzzle l’Uomo Vitruviano, rectius Economico, con un bel pezzo del Museo Egizio di Torino, che con le immagini è più liberale.
Giuditta Giardini
Avvocata, dal 2019 lavora come consulente per l’Antiquities Trafficking Unit presso il Manhattan District Attorney’s Office. È anche dottoranda dell’Università Cattolica di Milano, nel 2019 ha ottenuto un LL.M. presso la Scuola di Legge della Columbia University. Ha lavorato per Unidroit sulla Convenzione dell’Unidroit del 1995 sui beni culturali rubati o illecitamente esportati. Nel 2017 ha fatto parte della delegazione di Unidroit al primo G7 Cultura. Scrive regolarmente per ArtEconomy24 del Il Sole24Ore; è membro di ICOM Italia e dell’European Law Institute (ELI).
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Immagine: Two Men Contemplating the Moon, di Caspar David Friedrich, pubblico dominio, attraverso Wikimedia Commons