In vista del convegno “Sfide e alleanze tra Biblioteche e Wikipedia”, che si terrà venerdì 7 dicembre alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, abbiamo intervistato alcuni dei relatori e soci Wikimedia Italia che interverranno nell’ambito dell’iniziativa.
Andrea Zanni, socio Wikimedia Italia e bibliotecario digitale di MLOL, ci ha anticipato alcuni dei temi che tratterà nell’ambito del suo intervento all’interno del panel “GLAM-wiki”, dalle 11:45 alle 13:00.
Al convegno del 7 dicembre parlerai di “filiera dell’open” e “beni comuni digitali”, ci spieghi brevemente (arduo compito, vediamo se possibile!) a cosa ti riferisci con queste locuzioni?
I “beni comuni digitali”, sulla Rete, sono luoghi di costruzione collettiva del sapere: sono gestiti una comunità, che se ne prende cura e che rilascia le informazioni, solitamente, con una licenza libera tipo Creative Commons.
Quelli più famosi sono Internet Archive, Stackoverflow (progetto famosissimo fra gli informatici) e, ovviamente, Wikipedia e la galassia wiki. Sono progetti che negli anni hanno avuto grande successo e grande visibilità: per questo penso che sia importante per le istituzioni culturali (biblioteche, musei, archivi) riuscire a partecipare e magari “donare” collezioni e informazioni e competenze.
La “filiera dell’open” per me è questo: il processo con cui si passa dal produttore o custode della conoscenza (la biblioteca) e si arriva per vari passaggi alla pubblicazione di questa conoscenza in un posto molto visitato di internet come Wikipedia. Pensare a questo in termini di filiera secondo me aiuta a vederlo come un processo, sempre diverso, sempre adattabile, modulare, fatto di diversi step e difficoltà.
Che ruolo giocano o possono giocare le biblioteche, gli archivi e i musei nella filiera dell’open e nella produzione di beni comuni digitali?
Come accennavo prima, il ruolo dei MAB (musei archivi biblioteche; in inglese l’acronimo è GLAM) è secondo me fondamentale: loro sono i “produttori”. Senza di loro, gran parte della conoscenza e della memoria custodita dall’umanità, da millenni, non potrebbe arrivare ai beni comuni digitali. Solo che la filiera dell’open è sempre diversa: a partire dall’oggetto o dall’informazione che si vuole condividere (un testo, una fotografia, dei dati, una collezione di risorse, delle “competenze” professionali) il lavoro necessario per arrivare alla pubblicazione su Wikipedia o Wikidata o Internet Archive può essere più o meno complicato.
E non è solo un discorso tecnico, ma anche una mediazione fra culture diverse (come questo articolo di Phoebe Ayers spiega bene), che rende il tutto più divertente e più complicato.
A tuo avviso quali sono i paesi o le esperienze più avanzate ad oggi in questo campo?
Sicuramente negli Stati Uniti ci sono stati progetti molto interessanti, per la natura estremamente distribuita e federata del loro territorio, per cui di fatto un museo o un’istituzione lavora da sé: lì le buone idee hanno meno ostacoli che da noi. Ma anche in Europa di progetti fra il mondo wiki e il mondo GLAM ce ne sono dozzine, ognuno diverso dall’altro: è diventato impossibile oramai conoscerli tutti, la comunità è troppo grande, e questo è un ottimo segnale.
In Italia, grazie a Wikimedia Italia, c’è stata subito grande simpatia soprattutto fra il mondo bibliotecario e il mondo wiki, in questo siamo stati pionieri noi: di fatto ci sono tanti progetti che vanno avanti, grandi e piccoli.
C’è stato un piccolo terremoto culturale che credo stia portando i suoi frutti. Parte tutto dal fatto che bibliotecari e wikipediani fanno un lavoro molto simile, e nel momento in cui ci si accorge di questo e dei vantaggi del lavorare insieme, non si torna più indietro.
Queste due definizioni richiamano alla mente una logica di “mercato”, in cui il cittadino è – presumo – il consumatore. A tuo avviso quali sono i vantaggi che una crescente disponibilità di beni comuni digitali possono recare al cittadino e alla comunità più in generale?
Bhè, a questa domanda provo a rispondere con un’altra: come sarebbe il mondo senza Wikipedia? Noi ci siamo assuefatti ad una normalità che fino ad un paio di decenni fa era impensabile: Wikipedia non ha neanche 18 anni.
Per cui per noi adesso è normale trovare una risposta immediata a qualsiasi quesito ci venga in mente (o quasi), ma una volta era un’operazione costosissima: significava dover andare in biblioteca, chiedere aiuto al bibliotecario, trovare il libro giusto e trovare la risposta fra centinaia di pagine. Oppure possedere a casa una enorme e poco economica enciclopedia Treccani. Quindi oggi il “bisogno informativo” – quello almeno più semplice, come per esempio la data di nascita di Napoleone – viene soddisfatto subito, in pochissimo tempo, con l’accoppiata magica di Google e Wikipedia. Questo ha cambiato il mondo, in un modo che è difficile anche solo ricostruire.
Più beni comuni digitali ci sono, più informazione (via via sempre più strutturata, complessa, profonda) verrà messa online, gratuitamente. Un sito come StackOverflow è un semplice sito di domande e risposte su un argomento preciso, la programmazione informatica: eppure in pochissimi anni è diventato un punto di riferimento globale, e non c’è programmatore esperto o principiante che non lo utilizzi più volte al giorno. Un bene comune digitale fatto bene è la cosa più preziosa che la Rete può offrire.
Che messaggio vorresti trasmettere ai bibliotecari di oggi?
Ai bibliotecari (ma anche ai curatori museali e agli archivisti) del presente direi di non aver paura del cambiamento, del digitale, di nuove logiche partecipative come quelle wiki: mi piacerebbe che studiassero di più e si liberassero di alcune paure che li tengono fermi a posizioni oramai obsolete (penso ad esempio a logiche “proprietarie” per cui collezioni anche antiche e senza più nessun copyright vengono difese da occhi che, a torto, si ritengono indiscreti).
Grazie Andrea, ci vediamo a Firenze!
Nell’immagine: La Fabbrica del Vapore, premio speciale BASE Milano per Wiki Loves Monuments 2018. Di Asacconi, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons