L’Associazione Wikimedia Italia è felice di notare come la SIAE abbia ancora una disponibilità finanziaria sufficiente per acquistare pagine di pubblicità sui quotidiani e porre agli italiani dieci domande. La nostra associazione purtroppo non è così ricca; abbiamo però preparato anche noi dieci domande in risposta alle loro. Chissà se qualcuno risponderà!
Le 10 domande alla SIAE
Perché la SIAE continua a non distinguere tra proprietà intellettuale e sua remunerazione, facendo credere che quest’ultima sia obbligatoria e impedendo all’autore di scegliere se e come farsi pagare?
Perché la SIAE continua a parlare di “furto” della proprietà intellettuale (cioè lo spacciare per propria l’opera creata da altri), quando in realtà spesso si tratta solo di virtuale ed eventuale mancato incasso delle royalties?
Perché la SIAE ritiene che l’immissione illegale di opere protette da copyright non possa essere perseguita e punita dalla magistratura (unico organo costituzionalmente preposto all’amministrazione della giustizia), come ogni altro illecito, e plaude al provvedimento AGCOM che porta in pratica alla giustizia faidatè?
Come si pone la SIAE di fronte agli enti che offrono connessioni WiFi gratuite, e che potrebbero così implicitamente contribuire al download illegale di contenuti?
Perché la SIAE ottiene soldi (il cosiddetto equo compenso) dai supporti di memorizzazione, indipendentemente dall’uso che ne farà l’acquirente? Dove sarebbe il servizio specifico da lei prestato e che dovrebbe essere remunerato ?
Perché ci sono molte aziende e servizi (iTunes, BookRepublic, Sugaman…) che operano nel settore della cultura e che riescono tranquillamente a sfruttare Internet per il proprio lavoro, mentre la SIAE non sembra riuscirci? E perché – oltretutto – tale incapacità dovrebbe essere fatta pagare agli utenti della rete?
Perché nessuno si chiede perché la SIAE voglia creare una contrapposizione tra autori e produttori di contenuti e utenti?
Perché la SIAE non vuole nemmeno sentir parlare delle licenze d’uso Creative Commons, che nelle loro varie versioni danno al produttore di contenuti la libertà di scegliere se e come ottenere quella che lui ritiene un’equa remunerazione per la propria opera tutelando al tempo stesso la proprietà intellettuale?
Perché l’industria italiana della cultura si arrocca su posizioni di rendita nate secoli fa, e non si rinnova per creare contenuto e valore sfruttando le tecnologie attuali che ampliano enormemente il mercato ma richiedono uno sforzo iniziale per adeguarcisi?
Perché in Italia c’è un monopolio di fatto (vedi articolo 180 della legge 63/1941) della SIAE, e gli autori sono sostanzialmente costretti a iscriversi a SIAE per tutelarsi?
Per gli autori di questo testo si veda la cronologia della pagina originale.
Questo sito web utilizza dei cookies, anche di terze parti, e altre tecnologie di profilazione. Se prosegui la navigazione manifesti il tuo consenso all'uso dei cookies e delle altre tecnologie di profilazione impiegate dal sito. informativa sui cookie