Per sua stessa definizione Adelphigetti è una casa editrice immaginaria, che pubblica sui social copertine mai esistite di libri reali, ispirandosi all’estetica della casa editrice Adelphi, ma anche a certe edizioni Einaudi e Mondadori, creando collegamenti inattesi. Love, Pamela – la copertina della recente autobiografia di Pamela Anderson – viene quindi re-immaginata come se appartenesse alla stessa collana “Biblioteca Adelphi” della Lolita di Vladimir Nabokov, con tanto di dettaglio di un ritratto opera di Palma il Vecchio in copertina. Lo stesso trattamento viene riservato alle Lezioni di autostima di Raffaele Morelli, o al recente caso letterario Stigma di Erin Doom: tutti provvisti di una nuova copertina, per nobilitarli, a un primo sguardo, ma anche per scherzare su certe idiosincrasie dei lettori e degli amanti dei libri, sfruttando le immagini delle opere d’arte di tutto il mondo.
“Come verrebbe percepito questo libro in una grafica in stile Adelphi?”, si chiedevano gli autori che stanno dietro progetto Adelphigetti, che ancora ci tengono a mantenere un certo anonimato dopo aver lanciato la pagina nell’ultimo anno. Dal canto loro, infatti, il bello della pagina sta proprio nel mescolare generi diversi, senza prendersi sul serio.
“Non è mai stato nostro interesse – spiegano – stigmatizzare certa letteratura mettendola alla berlina. La nostra intenzione è quella di creare dei cortocircuiti tra immagine e testo innescando nello spettatore il meccanismo alla base della creatività, quella scintilla che apre la mente e che dà vita a messaggi talvolta ironici, altre volte spiazzanti o surreali”.
Case editrici e scrittori, forse anche un po’ inaspettatamente, l’hanno presa bene. Anzi, ora stanno al gioco:
“Sia scrittori che editori hanno percepito il valore del progetto, sia concettuale che prettamente estetico: trovarsi nel feed una copertina Adelphighetti strappa un sorriso, nessuno si è sentito offeso. Con il tempo Adelphighetti si è ampliato ed è diventato un contenitore di diversi format, come le interviste adelphighette, in cui chiediamo i libri formativi della vita di scrittori e artisti, che hanno anch’esse ricevuto da subito un consenso e una inaspettata ed entusiasta adesione”.
Nel laboratorio di Adelphighetti
Le immagini giocano un ruolo centrale nel successo della pagina. Attingendo a piene mani dalle opere d’arte in pubblico dominio, il progetto Adelphighetti dimostra in maniera pratica come il libero accesso al patrimonio culturale possa favorire la creatività e lo sviluppo di nuovi significati e linguaggi legati alle opere d’arte, ma anche il divertimento.
“Siamo dei fan di Lawrence Lessig – spiegano gli Adelphighetti – responsabile nel 2001 della creazione delle licenze Creative Commons, che ci consentono di utilizzare le immagini per i nostri volumi immaginari. Le nostre immagini predilette sono proprio quelle in CC0 o in pubblico dominio, che abbiamo sempre voluto scegliere per essere liberi di creare senza appropriamenti indebiti”.
Un progetto che nasce sui social trova in queste piattaforme il suo pubblico e nello spazio di internet la migliore fonte di ispirazione e ricerca. Ci sono anche delle esigenze specifiche che i creativi individuano nell’uso delle piattaforme dove si possono cercare e riutilizzare immagini, come quella di catalogare in maniera pratica:
“L’aiuto migliore che la rete può dare alla creatività è quello di rendere più semplice e meglio organizzata possibile la mole di contenuti che sono disponibili, con i corretti tag, con strumenti di navigazione avanzati: spesso si ha in mente qualcosa ma se non si sa come cercarla, quel contenuto rimarrà per sempre nascosto e introvabile”.
Un punto di vista sulle immagini libere
Si discute spesso sul fatto che le immagini del patrimonio culturale debbano essere libere o meno per il riutilizzo per qualsiasi scopo. Anche i progetti come Adelphighetti dimostrano che la libertà di riutilizzo può dare una spinta alla riscoperta del patrimonio e alla co-creazione di nuovi contenuti. A loro volta, le persone che stanno dietro questo tipo di progetti si interrogano sul loro lavoro e sul rapporto tra fruitori, istituzioni e opere d’arte:
“Crediamo che l’autorizzazione sia l’unica valida alternativa alla gratuità: se chiediamo ad un museo l’utilizzo dell’immagine di un’opera, e il nostro progetto viene ritenuto di valore, la sua autorizzazione per noi può anche avere un senso. Se invece iniziamo a dover pagare per ottenere qualcosa che è comunque già patrimonio culturale, e che molto spesso giustamente già paghiamo per vedere nella sua forma originaria e non in rappresentazione fotografica, a nostro parere entriamo in un’ottica sbagliata”.
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Immagine: Adelphighetti collage, di Adelphighetti, CC BY-SA 4.0, attraverso Wikimedia Commons